Con mia grande soddisfazione questa serie di articoli chiamata “Primi passi” e, pertanto, dedicata ai principianti, sta’ riscuotendo un notevole interesse. Forse la cosa che è maggiormente gradita è la semplicità dello stile divulgativo, il cercare sempre un modo di esprimermi (senza usare termini inglesi o altro) in maniera chiara e accessibile a tutti. Del resto io sono convinto che, essendo la passione per la pesca come un gioco, come tale vada trattato senza eccedere in termini eccessivamente tecnici e senza farne una questione di prestigio o di appartenenza a gruppi esclusivi e privilegiati. Il bello del pescare, infatti, è che è un hobby popolare, seguito da persone di ogni età e di qualsiasi condizione sociale ed economica, una passione aperta a tutti avente come unica condizione l’amore per la natura e la volontà di preservarla al meglio. In questo articolo è mia intenzione di parlarvi un po’ di pesci e di consigliarvi su come comportarvi, agli inizi, in modo corretto e potenzialmente produttivo. Bene, immaginiamo ora che, oltre la nota “canna del nonno”, ve ne siate procurate altre due simili. Tre canne, quindi, robuste e abbastanza lunghe, ottime per pescare da fermi e in modo tradizionale. Qualsiasi sia la vostra preda sperata, un simile elementare metodo di pesca richiede la preparazione di una “piazzola di pesca” e la sistemazione della stessa in modo funzionale.
Per far ciò dovrete comperarvi o farvi (anche usando rametti trovati sul posto) tre appoggia canne. Poi vi servirà uno sgabello sul quale sedervi e naturalmente un ampio guadino a manico lungo oltre a una rete o ad una nassa ove tenere il pescato in vita. Quando ci si attrezza di questi accessori bisogna, inoltre sincerarsi che siano utili allo scopo. È importante, quindi, che il manico del guadino sia sufficientemente lungo e che permetta di raggiungere comodamente l’acqua per salpare un pesce allamato e, anche la nassa, deve avere misure tali da consentirle di affondare abbastanza in acqua pur mantenendo l’apertura a portata della vostra mano. Mi direte che questi consigli sono scontati ma, credetemi, spesso mi capita di notare dei pescatori che non hanno ciò che serve, forse giudicando queste cose non importanti e pensandosi più capaci di quello che sono. Bene, siete pronti? Avete tutto il materiale che serve, esche comprese? Allora, siete arrivati sul posto, avete scelto la posizione che vi piace e (togliendo un po’ di vegetazione in eccesso) avete reso ben accessibile lo spazio acqueo davanti a voi. Si può cominciare a calare le canne. In questi momenti io seguo sempre un ordine prestabilito, frutto di tante esperienze. Per prima cosa piazzo lo sgabello ove sedermi, ne troppo vicino al bordo ne troppo lontano dallo stesso e sempre, però, in modo tale che, quando mi siedo, gli eventuali pesci del sottoriva non notino la mia sagoma.
Relativamente a ciò vi sono due condizioni che, quando assecondate, rendono la posizione del pescatore più corretta. Due cose che, possibilmente, andrebbero osservate insieme. La prima è quella (se si pesca di giorno e con cielo sereno) di aver sempre il sole in faccia in modo da evitare che la nostra ombra arrivi in acqua. La seconda (in particolare se c’è una brezza forte) è di mettersi sempre in modo che il vento soffi dalle nostre spalle, così che i nostri lanci non vengano ostacolati, che la lenza non derivi facendo delle controproducenti pance in acqua e che gli eventuali sugheri usati non si spostino (se non lo si vuole) verso riva, magari inclinandosi troppo sul loro asse o, peggio, piegandosi sempre di qua e di là sotto l’azione del vento. Poi, dalla parte destra del sedile, si piazzano i tre portacanne, a una ventina di centimetri l’uno dall’altro, e in modo tale che il nostro braccio destro li possa raggiungere comodamente, quindi si apre il guadino e, dopo aver verificato che possa raggiungere bene l’acqua, lo si appoggia per terra alla nostra sinistra e, oltre a ciò, si mette la nassa aperta in acqua. Poi si aprono bene le tre canne e (se si usa il sughero) si verifica che la profondità sia quella che vogliamo. Per ultimo si innescano tutti e tre gli ami con le esche che intendiamo usare e, una alla volta, si calano le lenze in acqua. Ora mi direte che, forse, vi giudico un po’ sciocchi e che tutto ciò è scontato! Però, cari amici, sapeste quante volte, agli inizi, non ho seguito questo elementare ordine per poi pentirmene. Spesso, infatti, succede che, quando si arriva i pesci siano proprio sotto i nostri piedi, ancora indisturbati. E, allora, può accadere che:
1) ci vedano e si allontanano 2) avendo calato la prima canna in acqua (senza aprire in anticipo il guadino), mentre stiamo preparando la seguente, questa venga attaccata dal pesce prendendoci, così, di sorpresa e impreparati.
Badate bene, non succede sempre così. Sarebbe troppo bello l’arrivare spesso in un posto ove il pesce sia tanto affamato! Ma, però, se ci rechiamo a pescare in una zona che, da tempo, stiamo pasturando, può accadere più spesso di quanto si possa pensare. È bene, quindi, visto che non costa nulla, agire in modo tale da evitarci delle sorprese e di perdere proprio quel pesce che avevamo tanto desiderato. Questo modo di pescare da fermi, con canne di questo tipo così preparate e disposte, è uno dei più vecchi e, ancora oggi, uno dei più usati nelle acque del piano. È una metodica semplice, adatta a pescatori di ogni età (anche a persone con limitazioni fisiche) e consentente di pescare vari tipi di pesci, sia a galleggio che a fondo. Pescando con il galleggiante in acque inerbate, due tra le più probabili prede sono le tinche e le carpe. È pur vero che oggi, specialmente per le carpe, si usano attrezzi, esche e metodiche molto tecnici ma, a mio avviso, anche questo tradizionale modo è molto produttivo. Anche se si usa il sughero come segnalatore dell’abboccata, in questi casi, l’esca deve sempre essere coricata sul fondo. La lenza deve avere una lunghezza un po’ maggiore della profondità effettiva e il sughero (leggero e affusolato) deve starsene fermo in acqua leggermente inclinato. In questo modo, quando il pesce abbocca avverte una resistenza quasi nulla e non si insospettisce con il rischio che rigetti il boccone. Specialmente se si va a tinche, questo fatto conta molto.
Le tinche, infatti, prima di “partire” decise, giocano con il boccone a lungo, lo prendono e lo lasciano, lo schiacciano in bocca e, solo dopo, se gli va, abboccano con forza. Ma dove depositare le esche, a che distanza da riva? Bene, cari amici, le tinche e le carpe (che tanti cercano nel libero) sono pesci di sponda. È loro abitudine, pertanto, di circumnavigare le acque chiuse e di perlustrare le rive dei fiumi alla ricerca di larve, animaletti vari e vegetali li presenti e, per farlo, usano anche rimuovere il fango dei sottosponda dando testate con il muso sino a liberare il cibo in acqua. Per questo motivo è proprio in queste zone che le esche andranno adagiate. La prima quasi proprio vicino alla riva, la seconda un po’ discosta a 1,5-2 metri dalla stessa e, la terza, sempre sottoriva ma spostata di lato anche di 5-6 metri. Tutte e tre, in ogni caso, molto vicine ad ove ci troviamo seduti in attesa. Una simile collocazione spiega, innanzitutto, il perché bisogna far attenzione a non provocare ombre in acqua e, oltre a ciò, richiede una notevole attenzione nel non causare vibrazioni sul suolo. Mentre, quindi, si può parlare tranquillamente (senza gridare troppo) dal momento che i suoni arrivano ovattati sul fondo, non bisogna battere i piedi, gettare pesi per terra o altro poiché le vibrazioni provocate arrivano subito nei sottosponda vicini insospettendo i pinnuti.
A dimostrazione di ciò si racconta anche oggi dalle parti mie che, un tempo, i pescatori da tinche e carpe, quando in azione, non usavano le scarpe e stavano a piedi nudi per non provocare vibrazioni. Quando ascolto queste cose io penso che forse non avevano i soldi per comperarle ma, senza dubbio, facendo così non spaventavano i nostri ciprinidi. Trattando, ora, un po’ di esche, io penso che quelle di un tempo, le più semplici e naturali, siano anche oggi validissime. Sia il mais tenero, infatti, che i bocconi fatti di polenta gialla o di pane raffermo, sono molto graditi dai pesci e, inoltre, il pasturare con simili sostanze, è molto economico. Ma come ci si accorge se ci sono tinche o carpe a girare sulla nostra pastura? Questa osservazione è facile ed immediata a patto di avere un po’ di spirito di osservazione. Questi ciprinidi sono dei grufolatori che “pascolano” letteralmente vicino le sponde. Nel farlo essi provocano delle piccole uscite d’aria dalla bocca che causano delle bollicine a galla. Queste bollicine possono essere a gruppetti e stazionarie quando l’animale è fermo a mangiare ma, se si muove mentre pascola, danno origine a delle linee regolari sia lineari che curve, a seconda di dove va il pesce. Più sono grandi, poi, maggiori sono le dimensioni del pesce che le provoca. Capirete, quindi, come possa essere divertente quando si notano questi “sentieri d’aria” a galla e si resta in attesa di veder sparire il sughero in acqua. I problemi vengono quando i pesci abboccano.
Se è una tinca a farlo, tende subito a prendere il fondo, magari per ripararsi sotto le alghe ma, pur dopo una strenua lotta, arriva a galla senza troppi problemi. Ma se è una grossa carpa ad abboccare è tutta un’altra cosa. Solitamente, specialmente se i sottosponda sono ricchi di vegetazione in acqua, questa parte “a razzo” di lato per andare a rifugiarsi tra i canneti. In questi casi si vede l’abilità del pescatore nel contrastare l’azione del pesce. La principale cosa da evitare è che la carpa in fuga riesca a avvolgere la lenza intorno alle canne. Se succede, infatti, il rischio che si rompa è notevole dal momento che le canne palustri, specialmente se verdi e fresche, sono robustissime e non cedono quasi mai. Per questo motivo, quando si pesca in questo modo, la frizione deve essere tarata molto dura e il pescatore non deve concedere al pesce la possibilità di prendergli la mano. Deve tirare sempre, pertanto, e, se il pesce riesce a spostarsi di molto, è bene non concedere filo ma, eventualmente, di muoversi un po’ lungo la riva, seguendo la fuga della carpa ma sempre mantenendo la lenza in tensione. Se, invece, è una tinca ad abboccare, l’errore da non fare è quello di anticipare troppo la ferrata. Come dicevo, le tinche usualmente giocano a lungo con il boccone prima di prenderlo decisamente in bocca e di andarsene. Il sughero, quindi, si può muovere spesso, può andare in su e in giù, a vibrare e di lato ma sarà testimone dell’abboccata solo quando affonderà deciso movendosi linearmente e obliquo sott’acqua.
Voglio parlare, infine, della pasturazione, metodo quasi indispensabile quando si pesca così. Per farla bene ci vuole circa una settimana. Decisa la riva sulla quale pescheremo e la piazzola ove sistemeremo le canne, il primo giorno si pastura partendo da alcune decine di metri da un lato e dall’altro. Ogni 4-5 metri, quindi, un bel pugno di pastura a raggiera. Poi, giorno per giorno, sempre così badando, però, a intensificare man mano la quantità di pastura nei pressi della piazzola. Il giorno in cui si pesca, poi, si pastura leggermente solo ove sono sistemate le canne. Ottimo sarebbe se fossimo in grado di sapere a che ora ci recheremo a pescare poiché, nei giorni di precedente pasturazione, sarebbe bene farla proprio in quel periodo di tempo. Un ultimo consiglio per finire, si può pasturare sia con il mais che con la polenta o con il pane ma, nel caso della polenta e del pane, è bene che si gettino in acqua dei bocconcini della stessa forma e misura di quelli che useremo per l’innesco. In questo modo le tinche e le carpe non si insospettiranno di fronte ai nostri ami innescati poiché, da giorni, abituate a nutrirsi con del cibo dello stesso sapore, colore e misura. Provare per credere!!!
Francesco Venier
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