Spinning in italiano vuol dire “far ruotare” e, appunto, lo spinning è la pesca “a lancio” usando come esche oggetti artificiali. Sia il tipo di pesca che il nome attribuitole sono divenuti così popolari che nell’immaginario collettivo si è creato un sillogismo: lancio = cattura. Così, però, non è !
Il lancio corretto e mirato è invero importante ma, secondo me, è il recupero giusto l’arma vincente.
A differenza della “pesca a mosca”, nella quale il lancio e la corretta posa della mosca finta sono fondamentali alla produttiva presentazione dell’esca, nello spinning l’esercizio del lancio, benché importante, è solo uno dei componenti dell’azione di pesca, non l’unico fattore ne tantomeno il più importante. Con questo non voglio dire che il depositare il nostro artificiale in acqua sia cosa sempre semplice e scontata. Ci vuole pratica ed esercizio costante per “centrare” le zone volute, per raggiungere uno slargo tra le alghe a centro stagno, per infilare l’esca in una zona tra le canne sottoriva e così via ma, ciò fatto, si è solo all’inizio dell’azione di pesca … poi viene il bello!
Il recupero appunto, il far lavorare l’esca alla profondità voluta, il farla muovere in modo che divenga realmente adescante, il farle percorrere rotte lineari e a volte sinuose, il farle variare la profondità d’azione nel modo e nei tempi voluti. Recuperando il nostro artificiale bisogna essere come degli esperti “burattinai”, bisogna che l’esca divenga una “cosa viva”, tutto deve essere fatto in modo da evitare azioni scontate, ripetitive, prevedibili e innaturali. Quante volte ho visto degli spinnofili che, quasi imbambolati, lanciavano e recuperavano in un attimo, come automi, come se fossero degli operai, “in catena di montaggio”. Pescatori che, botte di fortuna a parte, passavano giornate a “macinare l’acqua” e a logorare il loro mulinello senza alcun profitto. Ma allora come deve essere eseguito un recupero perché diventi potenzialmente produttivo? Io ho le mie convinzioni e, di seguito le voglio illustrare, specialmente ai principianti, con la speranza di far loro cosa utile.
- La durata di un recupero:
la durata di un singolo recupero, ovvero il tempo durante il quale l’esca lavorerà in acqua è un fattore dipendente spesso dalla velocità delle acque e dalla morfologia delle rive. In certe condizioni, quando gli elementi naturali sono decisamente dinamici e condizionanti, al pescatore non resta altro che assecondarli tentando di ricavare il massimo utile nei pochi spazi sia di tempo che di movimento concessigli dalla natura. Lanciando e recuperando di traverso a un veloce correntone, quindi, è del tutto inutile attardarsi nel recupero tentando di farlo durare a lungo. In un attimo, al primo rallentamento dell’azione, l’artificiale deriverà a valle e si appoggerà sulla nostra sponda. In queste condizioni ambientali solo il mio “Double Spinning” vi potrà consentire di gestire gli eventi ma, se sarete soli, il recupero sarà sempre veloce.
In tutte quelle zone di pesca ove le acque sono ferme o quasi, invece, il gioco si fa realmente interessante e ogni pescatore può divenire l’arbitro della situazione. In questi casi bisogna far di tutto affinché il nostro artificiale se ne stia a “lavorare” in acqua per il maggior tempo possibile, anche vari minuti per ogni singolo recupero. Tanto aumentano i tempi in cui l’artificiale agisce in acqua e quanto, conseguentemente, diminuisce il numero dei lanci, tanto meglio è! I tonfi di atterraggio dell’esca, benché “stoppati”, sono sempre elementi di disturbo. Quando l’artificiale è in volo, peraltro, molto spesso i pesci notano benissimo la lenza fuori d’acqua al seguito e si insospettiscono. Per lanciare, poi, noi siamo costretti a movimenti decisi e visibili anche in distanza tradendo, così, la nostra presenza. Se possibile, quindi, meno lanci e recuperi molto lunghi.
- Le zone migliori:
Ogni ambiente operativo ha delle zone ove il nostro recupero può essere maggiormente efficace a catturare. Per poter parlare di questo argomento non ci vorrebbe un articolo ma cento e, forse, non basterebbero ancora! Schematizzando di molto, quindi, e semplificando al massimo il discorso, cominciate a considerare quanto segue. Ogni predatore in caccia predilige una postazione d’agguato che gli consenta di attaccare le prede senza essere visto. Quasi tutti i carnivori, poi, non inseguono la vittima di turno limitandosi a “scattare” per tempi e spazi brevissimi. Considerando, per esempio, una zona d’acqua ove vi siano banchi di alghe sino alla superficie, con corridoi e lagune interne, dove si apposteranno i predatori in caccia ? Quasi mai in mezzo alle alghe ma ai margini delle stesse e preferendo quelle zone verdi ove le alghe formano delle “tettoie” creanti zone d’ombra.
Il punto di forza di ogni predatore, infatti, è il mimetismo e la capacità di restarsene immobile in agguato. Tutti gli spazi aperti, quindi, se non ci sono branchi di novellame erranti, sono poco fruttosi e, a mio avviso da trascurare , specialmente usando esche floating. In presenza di canneti e luoghi topici da prendere in esame per primi sono gli spazi d’acqua, anche se piccoli, tra i canneti, tutte le rientranze del margine esterno e, in particolar modo, tutte le “punte”. Quando i canneti si estendono irregolarmente verso il largo formando delle penisole, anche molto strette, anche formate di filari di poche canne, si creano zone d’ombra ove i predatori amano celarsi in caccia. Ciò avviene, come dicevo, per una questione di mimetismo ma non solo. Un luccio in agguato, per esempio, necessita di avere alle spalle e di fianco dei ripari vegetali o minerali tra i quali celarsi ma sul davanti lo spazio deve essere libero.
Il nostro deve poter “scattare” come un lampo senza trovarsi davanti nulla che gli rallenti il movimento. I margini, dunque, si prestano allo scopo perfettamente e molto raramente le zone ove l’azione del nuoto sia resa difficoltosa dalla morfologia delle acque. Un altro fattore da considerare con molta attenzione è la profondità operativa. Accennando per un momento a questa variabile mi sembra di dire cose scontate ma, come ho notato spesso, così non è! Quando i nostri predatori cacciano sul fondo il nostro artificiale deve lavorare a pochissima distanza dallo stesso. Logico no ! Sembrerebbe di si! Quante volte però ho notato spinnofili usare pesanti artificiali affondanti senza la consapevolezza della effettiva profondità delle acque e, inoltre, recuperandoli in modo tale da impedirne il giusto e produttivo affondamento. Se, come spesso accade, in un lago i lucci vanno a caccia a quindici-venti metri di profondità, bisogna fare di tutto perché la nostra esca lavori a quel livello e non ad altre altezze fuori dalla loro portata.
- Il movimento dell’esca artificiale:
Il movimento di ogni artificiale, le conseguenti vibrazioni prodotte, la somiglianza comportamentale con il pesce vivo (magari ferito ed in difficoltà) è cosa fondamentale per sperare di indurre un cacciatore all’attacco. Anche in questo caso ci sarebbe da scrivere un trattato ma, schematizzando, ci sono delle regole basilari da seguire. Bisogna innanzitutto evitare tutti i movimenti schematici e regolari. Poiché appaiono subito innaturali e, quindi, spesso vengono ignorati. Ogni artificiale recuperato, nell’ambito delle varie tipologie (minnow, vermoni, esche metalliche, ecc.) deve muoversi in modo irregolare. Sono importantissime le repentine accelerazioni di moto come le improvvise (anche lunghe) soste. Gli scarti laterali, possibilmente irregolari e di diversa ampiezza come i saliscendi scomposti fanno sì che l’esca divenga subito visibile e che richiami l’attenzione. Persino lunghe soste di assoluta immobilità, magari interrotte raramente da brevi momenti di leggera vibrazione, sono spesso utili e produttive. C’è solo da sbizzarrirsi ad inventare ed a provocare le azioni più diverse ma a patto di non
Renderle ripetitive e meccaniche. Ogni nostro artificiale, una volta immerso in acqua, anche un semplice cucchiaino, deve apparire come una cosa viva e autonoma. Noi, come dicevo, siamo i “burattinai” ma lui non deve sembrare un “burattino”!
Ora basta! Vi ho annoiato? Spero di no! Tante cose possono apparire ovvie ma, nello stesso tempo, anche le cose più ovvie molto spesso vengono trascurate se non del tutto ignorate. Caramente.
Francesco Venier
|