LA LAGUNA DI VENEZIA

- Casa mia -



In Italia esiste un territorio lagunare con caratteristiche uniche e irripetibili, una zona ricca di storia e tradizioni, un ecosistema ancora vivibile e apprezzabile che risponde al nome di “Laguna di Venezia”.
Ricca di una infinità di isole e isolotti, attraversata da canali grandi e piccoli, con una gran parte della sua superficie occupata da bassi fondali (le famose “barene”), con due uscite in mare delimitate da lunghissime dighe foranee, quella di Punta Sabbioni e l’altra chiamata Alberoni, questa estesissima zona d’acqua salmastra offre riparo e sostentamento a molte specie di pesci e di molluschi.
Invero i pesci presenti nelle zone prospicienti Porto Marghera, visto l’inquinamento industriale presente, non rivestono importanza alimentare ma, fortunatamente la laguna di Venezia è grande, molto grande e, così, con la complicità delle maree e delle larghissime bocche di porto, il ricambio delle acque è assicurato, cosa che ne favorisce molto la qualità riuscendo a bilanciare ancora gli effetti degli inquinanti.
In laguna vivono e prosperano molti tipi di pinnuti : anguille, branzini, orate, mormore, passarini, grandi sfogli alati, cagnoletti, go, cefali, gronghi, seppie, calamari oltre, naturalmente, a molluschi di ogni tipo e forma.
Come è facile immaginare, pertanto, questo territorio si presta moltissimo alla pesca dilettantistica specialmente se si possiede una imbarcazione anche non troppo grande e costosa. A Venezia le barche più diffuse tra i pescatori sono i cofani come quella che io posseggo e uso sovente. Ma perché proprio queste barche sono le più funzionali?
Il cofano è una barca solitamente lunga sui cinque metri e larga 1.60-1.70. è una barca con linea di prua decisamente pronunciata e a V, utile in presenza di onde per poterle fendere meglio. Il fondo di carena non è troppo pronunciato, a volte del tutto piatto, per poter navigare anche su fondali bassissimi oltre, poi, a risultare più stabile agli spostamenti dei pesi trasportati.
La larghezza relativa del mezzo gli consente di poter passare con facilità attraverso i canali, anche strettissimi, attraversanti le tante isole (Murano, Burano. Torcello, ecc.). Le sponde di questi natanti sono abbastanza alte e quasi in verticale. Tutta la prua è coperta e accessibile dall’interno attraverso uno sportello con chiusura.
L’interno delle fiancate laterali è dotato di tasche e, sul retro, a poppa, solitamente si trova un cassonetto, contenente serbatoio della benzina e altro, utile anche come sedile per chi guida “a barra”.
Ogni vano interno chiudibile, grande o piccolo che sia, è utile a riporvi le attrezzature da pesca e quant’altro in sicurezza e fuori vista in caso di soste e quando si lascia la barca sola e ormeggiata. Il tutto, poi, è copribile con teli in tessuto impermeabile.
Due sono i tipi principali. Nel primo caso si usa un telo teso e orizzontale, fissato con bottoni a scatto perimetrali, a totale chiusura e copertura del vano a cielo aperto rettangolare. Una volta applicato, quindi, la barca apparirà come un siluro liscio, tutto chiuso e poco ingombrante.
Nel secondo caso, quello più usato da cacciatori e pescatori, si utilizza sempre un telone impermeabile ma cucito e applicato diversamente.
Quando si intende coprire il cofano, infatti, si applicano, a distanze regolari, degli archi in acciaio inox incastrati sui bordi superiori delle due fiancate e poi si copre il tutto. Così facendo, si crea uno spazio maggiore coperto consentente di starci seduti sotto al riparo e di stivarvi più oggetti al coperto. Una sorta di “canadese galleggiante”utilissima a pescatori e cacciatori in sosta, specialmente di notte.
Facendovi questa accurata descrizione di come sono i cofani non intendevo solo di darvi una informazione ma, anche, di fornirvi dei suggerimenti. Io penso, infatti, che questo tipo di barca sia molto “intelligente”, utilizzabile anche in altri generi d’acqua come, ad esempio, nei grandi laghi ove le onde prodotte dai venti si sprecano e nei fiumi e nei canali dell’interno.
Questa barche, fatte di vetroresina o di legno, sono inoltre pesanti e, quindi, più stabili di altre e meno sensibili all’azione del vento laterale.
Ma parliamo un po’ di pesci e di pesca in laguna. Dovendo farlo con compiutezza bisognerebbe scrivere un libro ma questa non è la mia attuale intenzione. Io voglio, infatti, darvi solamente alcuni stimoli e alcune informazioni in modo informale e rifuggendo (non li digerisco proprio) dai tecnicismi esasperati.
In queste acque tre tipi di esca sono maggiormente usati: il bibi, i vermi duri e i vermi teneri o “tremoline”.
Pescando con il vivo, poi, ottime sono le piccole seppie di agosto e i piccoli go, minuscoli ghozzi d’acqua salata.
In laguna si pesca sia di giorno che di notte sempre, però, in accordo con i cambiamenti di marea. I periodi migliori sono quelli quando la marea “gira”, prima del culmine e quando inizia a calare. In questi momenti i fondali si rimescolano e tutti i pesci entrano in maggiore attività a causa della naturale pasturazione che si verifica.
Non tutti i posti sono egualmente produttivi, però, mentre altri costituiscono una incognita. Sono ottime le zone adiacenti le “peocere” (coltivazioni di mitili) come, ad esempio, davanti a Punta Sabbioni all’interno della omonima uscita in mare.
Fra i tantissimi posti perennemente occupati da pescatori in barca primeggiano tutte le zone laterali della bocca di porto degli Alberoni ove le frequenti buche del fondo marino offrono riparo e sostentamento a tanti pesci.
Molto frequentato anche l’esteso basso fondale raggiungibile percorrendo il “canale delle navi”, dall’Arsenale in direzione Punta Sabbioni, proprio davanti al Lido. E poi lungo tutte le dighe foranee di Punta Sabbioni fino a raggiungere concentrazioni di barche “da parcheggio” appena fuori dall’uscita della bocca di porto, in mare e davanti alle spiagge esterne del Lido, presso il faro.
Ma anche una infinità di canali esistenti sono molto produttivi. Il guaio è che chi vi pesca con profitto non si “sbottona” mai e, nemmeno sotto tortura, vi dirà quelli migliori e le ore più giuste. Un sistema per riuscire a saperlo però, a mio avviso, c’è. Bisogna girare e osservare molto.
Quando in un certo posto noterete in pesca delle barche belle e costose con donna in bikini a prendere il sole, sovente non vuol dire nulla. In questi casi si tratta di “domenicali” che ci provano un po’ a casaccio. Ma se noterete delle barcacce vecchie con barbuti pescatori in canottiera, allora sì che bisogna “drizzare le antenne” e starsene ad osservarli con attenzione. Molti di questi pescatori non si trovano li per caso e per perdere tempo ma sanno bene cosa stanno facendo.
A Venezia si pesca quasi solamente a fondo con più canne. Si usano piombi a saponetta scorrevoli (in genere sui 100 grammi) e lunghi finali ad amo singolo. Si può pescare sia “a scarroccio”, cioè con la barca (a motore spento) mossa dalla marea, che da fermi, ben ancorati sul fondo.
Bisogna in ogni caso tenersi sempre sui lati dei canali navigabili poiché è vietato pescarvi nel mezzo. Se però l’occhio è vigile e il motore parte al primo colpo, ogni tanto si può trasgredire attenti a non mettersi davanti alla prua di un transatlantico in uscita verso il mare, cosa non salutare!
Come sopra dicevo le esche più usate sono i bibi, i vermi duri e quelli teneri. Questi bocconi sono graditi un po’ a tutti i pesci in genere con l’esclusione dei cefali e dei passarini che prediligono la “tremolina” tenera. Il problema sta’ nel far durare l’esca sull’amo. I fondali della laguna di Venezia sono ricchi di granchi di ogni genere e, come dicevo, di una infinità di molluschi. Quando l’esca è poca e troppo tenera, quindi, viene subito ripulita da questi lasciando il pescatore in vana attesa.
Invero tutte queste esche sono costose e richiedono un oculato utilizzo a meno di non voler spendere un patrimonio ogni volta che si va a pescare. I vermi duri e il bibi, però, durano di più sull’amo a patto di spostarsi subito quando ci si accorge che sotto la nostra barca c’è un tappeto di granchi. Il bibi in particolare, quando ben utilizzato, risulta il più resistente economico fra i due citati. Mentre una scatoletta di duri ne contiene 4-5 al massimo ed è utile al più per una decina di inneschi con il bibi è diverso.
Il bibi è simile ad un anellide grosso e lungo circa come un dito indice. Ogni scatoletta ne contiene una decina e costa quasi come una scatola di vermi duri. Essendo duro ed elastico, con l’interno cavo, il metodo migliore per prepararlo per l’innesco è il seguente. Presa in mano una di queste esche, obbligatoriamente viva, utilizzando le forbici bisogna tagliarla per lungo formando delle strisce lunghe e larghe circa un centimetro. Presa, poi, una singola striscia questa andrà fissata sull’amo a esse facendo in modo che l’interno della stessa sia applicato verso l’esterno, cioè va infilzata al contrario. Ciò è giustificato dal fatto che le mucose dell’interno del bibi rilasciano molti più odori di quanto facciano quelle esterne.
Parlando, ora, della seppiolina e del paganello, queste esche, come dicevo, sono ottime per pescare con il vivo. Questi due bocconi vengono usati a Venezia quasi esclusivamente per la pesca del branzino. Anche in questo caso c’è chi pesca “a scarroccio” e chi fermo e ancorato. Entrambi i metodi sono produttivi con, a mio avviso, una prevalenza del sistema “a scarroccio”.
Quando la barca si muove lentamente, trascinata dalla corrente, l’esca immersa sonda maggiori spazi e non deve essere più il pesce ad avvicinarci ma noi ad andarlo a cercare.
In certe calme e calde notti d’estate questo metodo risulta subito visibile e affascinante anche per chi, sulle rive, non sta’ pescando.
Nei canali di uscita delle bocche di porto di Punta Sabbioni o degli Alberoni varie barche illuminate se ne stanno vicine e silenziose, spinte dalla corrente di marea e con le lenze innestate in acqua, spesso libere, utilizzate a mano, senza adoperare canne da pesca. Questo spostamento dura per centinaia e centinaia di metri e poi, all’improvviso, tutti ad accendere i motori per tornare in poco tempo a monte della corrente e, poi, nuovamente il silenzio.
Chi osserva dalla riva vede questa miriade di “lucciole” in acqua e la suggestione che ne ricava è grande.
Pescando ancora di notte, invece, un ottimo posto è nel canale navigabile proprio davanti il faro di Murano. In questa zona girano grossi branzini tentati, per lo più, con i paganelli vivi. Questi piccoli ghiozzi agganciati all’amo per la bocca o per la schiena sono molto resistenti e vitali oltre che graditissimi alle spigole.
Ancoratisi, quindi, si lancia le esche a favore di corrente, si appoggiano le canne sulla barca e si attende. La lenza monta un bel piombo scorrevole a saponetta da 70-100 grammi e il finale è lungo 100-120 cm. Se e quando la canna flette scomposta, a testimonianza dell’abboccata, la ferrata va eseguita in modo del tutto anomalo.
Il “paganello” ha, come tutti i ghiozzi, una pelle liscia e viscida. Per questo fatto una ferrata repentina causerebbe, quasi sempre, lo sgusciare dell’esca fuori dalla bocca del predatore. Il metodo corretto, quindi, per recuperare è questo.
Quando la spigola abbocca, bisogna lasciarle il tempo di ingoiare il ghiozzo. La prima cosa da fare, pertanto, di aprire l’archetto consentendo alla lenza di uscire libera sotto la trazione di un pesce. Solo dopo un po’ l’archetto andrà chiuso di scatto e sarà fatta la ferrata a canna alta.
Fra i vari e diversi tipi di pesca possibili nella laguna di Venezia uno che mi diverte molto è quello delle seppie. Non si tratta, invero, di una pesca canonica e tecnica ma soddisfa molto per la trazione del pesce, per la quantità del pescato (quando si muove) e per la grande bontà delle carni. Da fine marzo a fine maggio le grosse seppie entrano in laguna, attraverso le bocche di porto, per deporre le uova. Sono pesci che, a volte, pesano anche un chilo e che in salpaggio pesano molto anche perché si riempiono d’acqua.
Io solitamente uso i gamberi finti della yo-zuri fatti in plastica e ricoperti di tessuto.
La colorazione che uso di più e con maggiore fiducia è quella a dorso rosso e fianchi bianchi percorsi in lungo da linee argentate. Sul dorso, inoltre, è presente una evidente spinatura di un verde intenso.
Io non so’ se questa colorazione è per tutti quella maggiormente catturante ma almeno per me è così. Io monto gli yo-zuri a fine lenza preceduti, a 50 cm. dagli stessi, da un piombo fisso e affusolato da 20 grammi. Altri, invece, usano fare montature a bandiera a uno o due yo-zuri in serie.
Depositati in acqua, barca scarrocciante, bisogna periodicamente sollevare le canne con movimenti lunghi e plastici, da orizzontali a verticali, lentamente e senza scatti. Se c’è una seppia sull’artificiale noteremo subito il cimino che resta flesso e sentiremo come un peso morto a fine complesso. Poi bisogna recuperare lentamente e guadinare il pesce quando è ancora sommerso e con accortezze tali da evitare che si sganci dai cestelli.
Attenti sempre ai movimenti bruschi e a non agitare troppo le prede pena spruzzi di nero che non auguro a nessuno. Quando accade è un disastro essendo il nero di seppia quasi una vernice che sporca tutto. Come dicevo, siate sempre attenti in fase di recupero poiché se la seppia agganciata è femmina può accadere che uno o più maschi la seguano a ruota e, allora, sapendo usare bene il guadino, si fanno catture multiple.
Per ora basta, cari amici. Ritengo di avervi dato una descrizione abbastanza stimolante di come è la laguna di Venezia. Solo pochi cenni che, però, spero vi indurranno ad andarla a visitare.

Francesco Venier